Recensione a Soggetto e identità. Il rapporto anima-corpo in Merleau-Ponty e Foucault di Alessandro Mariani, «Iride», 2, agosto, 2009

A partire da una serie di “emergenze” contemporanee (conflitti etnici, tensioni religiose, crisi economiche, derive della globalizzazione, etc.) Stefano Righetti sviluppa – con originalità e acribia – il tema del soggetto e della sua identità attraverso il rapporto tra anima e corpo in due figure emblematiche del pensiero filosofico contemporaneo: Maurice Merleau-Ponty (1908-1961) e Michel Foucault (1926-1984). Lo strutturalismo fenomenologico del primo riporta l’identità in termini antimetafisici e guarda alla “carne del mondo” come elemento strutturale della percezione; la genealogia poststrutturalista del secondo nega il soggetto metafisico e studia la “governamentalità degli individui”. Oltre a vari temi comuni ai due filosofi francesi che il volume pone in luce (la questione del linguaggio, l’antiumanismo, la costituzione del soggetto e la sua libertà, il rapporto etico con la comunità e con il mondo, etc.), un focus resta fisso e centrale in entrambi, quello della corporeità, che Righetti analizza con rigore analitico e puntiglio ermeneutico attraverso i testi, i lessici, le figure e le discorsività dei due maîtres à penser.

Come ha mostrato chiaramente il giovane Autore, tra gli elementi di maggiore originalità del pensiero filosofico merleau-pontyano vi è la riflessione sulla corporeità. Cercando una mediazione con le altre scienze umane – in particolare la psicologia, la linguistica, la storia e l’estetica –, Merleau-Ponty intende riabilitare la dimensione corporea, non riducibile alla sua mera datità organica. Lungi dall’essere esclusivamente bios, il corpo rappresenta l’apertura dell’io al mondo, la dimensione attraverso la quale il soggetto scopre la complessità/varietà dei rapporti che lo legano all’anthropos. In Merleau-Ponty il corpo viene ad assumere il significato di “realtà integrale”, determinante per interpretare l’identità del soggetto “inserito nel mondo”. Infatti, a più riprese, Merleau-Ponty ha posto al centro della sua riflessione il tema della corporeità, come dispositivo “umano” indispensabile per spiegare/comprendere una fenomenologia autentica dell’intenzionalità. Da qui la necessità di ricostruire all’interno della sua “estesiologia” quello che lo stesso Merleau-Ponty ha interpretato come un sistema implicito del corpo e come una forma esplicita di articolazione della dimensione corporea: la relazionalità. Sia ne La struttura del comportamento che in Fenomenologia della percezione, come pure ne L’union de l’âme et du corps chez Malebranche, Biran et Bergson, Merleau-Ponty muove una critica radicale al cogito “spettatore del mondo”, mostrando che la coscienza è sempre una nozione determinata negli altri, attraverso il “corpo proprio” del soggetto stesso. Così, di fronte alla tradizionale dicotomia tra anima e corpo, tra spiritualità e materialità, tra psiche e soma, Merleau-Ponty risponde col tentativo di “approfondire il valore ontologico dell’unità strutturale della visione – con il conseguente problematizzarsi della nozione di soggetto” (p. 54). E lo fa interpretando l’uomo in continuo movimento tra intenzioni psichiche ed esperienze corporee. Infatti, il flusso/legame tra il corpo, la natura, la ragione, i sensi e la carne ricorre trasversalmente nella filosofia merleau-pontyana, il cui argomento principale rimane il corpo umano, che costituisce una transizione dell’evoluzione che perviene all’uomo. Nel progettarci/proiettarci nel mondo superiamo il corpo, che nel suo farsi quotidiano, nei rapporti con gli altri e con il mondo, rappresenta la “coscienza incarnata”, in quanto sorgente originaria del significato, fonte primaria di ogni senso, strumento principe attraverso il quale “siamo-nelle-cose”. Infatti, nell’esistenza ci si muove costantemente tra l’essere e l’avere un corpo: tale polarità è centrale nell’analisi del concetto di corpo elaborata dalla riflessione fenomenologica merleau-pontyana, la quale mira a sottolineare la distinzione tra “corpo vissuto o mondanizzato” e “corpo anatomico o compagine somatica”, come pure il carattere di esperienza vissuta della corporeità, la sua capacità di costituirsi come presa di coscienza del nostro “essere nel mondo”.

Sull’altro fronte studiato da Righetti, quello foucaultiano, il corpo rappresenta lo spazio psico/fisico in cui il potere si manifesta inscrivendo le proprie forme: esso è il punto d’applicazione e di composizione di una “microfisica” dell’assoggettamento, che si organizza attraverso una molteplicità di forme che riescono a plasmarci in maniera duratura e che producono quella che il filosofo di Poitiers chiama la “sterilizzazione del sé”. Nella società moderna, sostiene Foucault, si definisce una sorta di schema anatomico-cronologico del comportamento: l’atto viene scomposto nei suoi elementi, la posizione del corpo, delle membra e delle articolazioni viene definita e ad ogni movimento sono assegnate una direzione, un’ampiezza, una durata. Il tempo penetra il corpo e con esso tutti i controlli minuziosi del potere che attribuiscono una connotazione morale ai gesti del soggetto. Da Sorvegliare e punire a Microfisica del potere, fino alla Storia della sessualità, il modello foucaultiano si presenta come uno strumento efficace per analizzare l’investimento disciplinare dei corpi attraverso la forma mista di assoggettamento e di oggettivazione, il medesimo potere-sapere, la genealogia della morale moderna a partire da una “storia politica del corpo”. Così, dal XVIII secolo si sviluppa – secondo Foucault – un’arte del corpo umano, allo scopo di osservare i movimenti eseguiti, di determinare quelli più efficaci, rapidi e convenienti. Nelle fabbriche, nell’esercito, nelle scuole, nelle case di pena, negli ospedali, etc., compaiono personaggi incaricati di osservare, controllare, sorvegliare, punire i soggetti rendendoli – innanzitutto – “corpi docili”. Infatti, compaiono gli esercizi, le manovre, i movimenti che governano disciplinando i soggetti con divisioni specifiche, per classi di età, per genere, per obiettivi, etc. Questa immagine del disciplinamento del corpo rinvia ad una “microfisica del potere” che agisce come autodisciplina, autogoverno, moderatio, dominio di sé, cura sui. Dunque, il corpo è chiamato a rivelarsi in una posizione di vivente, di strumento di produzione, di elemento conosciuto dentro un sistema di pudori e di norme morali che lo collocano in una irriducibile anteriorità rispetto al soggetto stesso. In tal senso, tra Sette e Ottocento, i “modi” fondamentali del sapere (come la produzione di capitale, la regolamentazione della vita, i meccanismi sociali di controllo/esclusione della parola, etc.) trovano legittimazione nel disciplinamento, nel governo e nell’autogoverno, nella medicalizzazione degli individui, determinando una negazione delle soggettività autenticamente intese. “E il rapporto tra l’anima e il corpo non può allora che essere connaturato allo sviluppo del sapere occidentale, sostanziandone (o rispecchiandone) le forme” (p. 80).

Una corporeità, quella presente nelle opere di Merleau-Ponty e di Foucault, che alla luce del ricchissimo studio di Stefano Righetti si rivela come un dispositivo circolare tra l’insopprimibile istanza del soggetto (che fa del corpo l’esperienza essenziale della “presenza-al-mondo”) e l’assimilazione/interiorizzazione delle regole identitarie (attraverso un processo di addomesticamento dei corpi e di formazione delle persone).