Recensione a Soggetto e identità. Il rapporto anima-corpo in Merleau-Ponty e Foucault di Gianluca Seramondi, «Filosofia.it»

Il volume di Stefano Righetti si fa leggere (pur nella sua densità) e si fa apprezzare in senso anche squisitamente teoretico (pur essendo la ricostruzione di un faccia a faccia, storico e culturale, tra Merleau-Ponty e Foucault, ripresi nella complessità dei loro messaggi filosofici e diacronicamente rivisitati proprio partendo – per entrambi – dalla loro «ultima stagione», prevalentemente). Teoreticamente il volume ha tre nuclei: 1) quello del problema (dilemmatico e aporetico) del mente-corpo, il quale ha contrassegnato la filosofia occidentale e continua a inquietare la stessa ricerca contemporanea; 2) quello relativo alla nozione di corpo che si riarticola nel pensiero dei due autori facendosi corpo sensibile, attivo, relazionale, regolato da saperi e poteri, sottoposto a addomesticamento, perimetrazione, controllo e quindi, anch’esso, attivo e passivo, comunque irretito in una generale e storica significazione e/o costruzione di senso (in Foucault); 3) quello di una neoantropologia, post-strutturalista e post-fenomenologica, di cui proprio Nietzsche può essere visto, sulle orme di Foucault, come il promotore e, ancora oggi, il modello da riprendere, affinare, portare a regime nel Postmoderno.

Certo, sullo sfondo sta anche un’analisi della filosofia in Francia, connessa alle avventure di quel pensiero tra gli anni ’60 e ’80, in cui si sottolinea una tendenziale convergenza – alla fine, dopo le polemiche reciproche tra fine ’50 e primi ’60 – tra strutturalismo e fenomenologia che, sulle orme di De Saussure, possono e devono affiancarsi dando alla fenomenologia un aspetto interpretativo (e non analitico) e allo strutturalismo un volto più antropologico. E, ancora, i due filosofi ricordati sono specifica testimonianza di questa convergenza, che reclama anche e soprattutto una lettura meno rigida e lineare delle due posizioni teoretiche e declina un processo di maturazione culturale più sfumato, più complesso, più avanzato anche. Ma è questo un percorso del volume assai interessante, che qui possiamo lasciare da parte. Come da parte lascerò il tema più specifico del corpo, per concentrarmi invece sul contributo al tema/problema del mind-body così ancora attuale. E contributo antidualistico e orientato a leggere il binomio secondo ottiche integrate, dialettiche, di complessità, partendo proprio da una nuova idea del corpo. E poi sul contributo al tema antropologico sopra ricordato.

Quanto al tema del mente-corpo in generale la posizione si fa in questa prospettiva di «secondo strutturalismo», anti-dualistica, lontana da ogni cartesianesimo (così centrale nel cammino dello spiritualismo francese) da ogni sostanzialismo, intrecciando invece la materialità fenomenologica che assegna alla corporeità capacità di strutturazione della mente e viceversa, dando vita a un continuum appunto vitale: e qui opera come punto di svolta Merleau-Ponty. Ma quel corpo che è linguaggio, che è apparato di segni, sta già nella cultura, nella società, nella storia. E ci sta dinamicamente come corpo-mente unitario, vincolato e interpretato da universi e di discorsi e di potere. Il problema mente-corpo è, così, un problema mal posto nella tradizione, che – però – la filosofia contemporanea sta superando nel suo deficit e sta rileggendo secondo un’ottica di complessità che distingue e integra i momenti diversi e paralleli, sottomettendoli a una logica che è potenzialmente dialettica e comunque plurale. Quell’antico problema perde ogni linearità e si fa un groviglio problematico da rileggere secondo modelli integrati e guardando, appunto, alla complessità. È questa una prospettiva che ben emerge nel volume, anche se poi il discorso non si inoltra nei meandri tematici e polemici di quel dilemma. Ma la prospettiva di soluzione c’è e circola ampiamente nel testo. Ed è uno dei suoi punti d’onore, poiché sottrae quel problema alla filosofia analitica e/o alle scienze cognitive e lo lega più intimamente a una tematizzazione dell’anthropos e alla sua identità articolata/plurale/complessa che va sottratta a ogni logica di riduzionismo e pensata, invece, iuxta propria principia. Come ci aiutano a fare Merleau-Ponty e Foucault, soprattutto se usati insieme e riletti tra loro e nelle «vicinanze» e negli «scarti».

Proprio al tema antropologico – infatti: e pour cause, poiché il mind-body deve trascriversi in problema del soggetto, nel soggetto e proprio nella sua singolarità vissuta e storica – sono dedicati gli ultimi capitoli, che per me pedagogista sono stati i più interessanti. Lì viene messa al centro la «genealogia del soggetto» cara al Foucault del dopo-Sorvegliare e punire, ma anche di Microfisica del potere, in cui riemerge (dopo la drastica posizione della «morte dell’uomo», che è però l’uomo dell’umanesimo, dell’idealismo, dello spiritualismo) il tema dell’individualità (p. 288) e si afferma anche e soprattutto il quadro di un’«estetica dell’esistenza» (p. 295), che fa dell’unità vissuta e storico-sociale del soggetto un compito e un programma pedagogico. Qui, anche, Foucault riattiva un paradigma già classico, caro soprattutto all’ellenismo, che si incardina sull’«ermeneutica del soggetto» e la declina sempre più in chiave formativa, guardando a un altro-uomo, erede critico del superuomo nietzscheano, proiettato sul futuro e nutrito di «spirito libero» e di cura-di-sé.

Il messaggio finale del testo è significativo: l’io è l’uomo-carne di Merleau-Ponty, che oltrepassa e congeda ogni «soggetto idealistico» e ogni «identità metafisica», ma è anche, con Foucault, un io che si libera dall’«assoggettamento», controllando il controllo che cultura/società/potere (ovvero la complessità del politico) esercitano su di lui, e controllandolo teoricamente e praticamente. Inoltre è un io-della-finitudine che lavora proprio su quel «limite» che lo determina, spostandone i confini e ridistribuendone le forze, guardando a una «nuova identità» in cammino. Già storicamente in cammino. Ma a cui la filosofia deve dare e voce e traguardo.

Il volume di Righetti è, allora, anche per la pedagogia come teoria della formazione e strategia storica del formare soggetti, un «incontro» efficace, capace di illuminarne i compiti attuali (formare i soggetti come persone vive, finite, responsabili) e le stesse categorie fondanti (da «soggetto», appunto, a «cura di sé»), declinando un modello di anthropos che nutrito del suo passato si inoltri verso le frontiere innovative che il Nostro Tempo reclama e che ha già messo in marcia. Si tratta di attivarle, svilupparle, oltre che decantarle. E qui proprio l’innesto Foucault-Nietzsche può essere prezioso. Pedagogicamente e educativamente.

Il volume, nel suo complesso, si dispone – allora – su una frontiera sia storica sia teorica assai avanzata e ancora tutta attuale. Quella che salda, senza eclettismi, i modelli postmetafisici del pensiero contemporaneo (fenomenologia, esistenzialismo, marxismo, strutturalismo, ermeneutica), mostrandone la possibile sintesi e convergenza e innesto e proprio per dar vita a un pensiero capace di leggere la complessità del reale e usare questo pensiero sì come interpretazione ma ancor più come proiezione del reale medesimo. Così anche si coglie e si costruisce un nuovo degré zero del pensare e dell’essere stessi: quell’anthropos che è corpo/mente e corpo «spesso» e mente sociale e storica, ma che è anche individuo connesso alla finitudine e alla sua costante apertura problematica. Ed è questa una conquista di-fine-secolo di preciso valore teoretico.

Sulla seconda frontiera, quella teorica, è la già ricordata complessità/problematicità/apertura del soggetto e del suo farsi sempre più io-come-sé che viene a porsi e come «fondamento», per così dire, e come risultato (di un lungo processo di ricerca). È l’antropologia che torna al centro della filosofia, ma un’antropologia di grana fine, critica-critica, capace di decostruire ogni residuo metafisico nella visione dell’uomo e di saldarsi, invece, alla sua costitutiva e sempre più trasparente problematicità: effetto-chiave proprio di una rilettura antropologica che lega insieme passato/presente/futuro, ovvero società/corpo/coscienza/pensiero in un dispositivo squisitamente dialettico. Che ci si offre come un radicale a quo, per oggi e per domani.

Il focus del volume è sì ricco e variegato, ma ha al centro del suo centro proprio questa ri-lettura dell’anthropos, che ne radicalizza e rende complessa al tempo stesso l’identità, che ce lo ripropone come «fondamento critico», che ce lo presenta nel suo identikit polimorfo, che tra genealogia e infuturamento viene a superare ogni «umanesimo » e a proiettarsi nella riflessione sempre come problema e problema aperto al proprio superamento. Ergo anche sempre e sempre più pedagogicamente connotato: quale Homo educans, oltre che sapiens, faber, sentiens, socius; corpo che si fa spirito e spirito che si fa storia in un processo dall’io al sé che è sempre in atto e sempre inconcluso.

Sì, forse, alla fine – e proprio sulla scia di Foucault – il nucleo più intimo del volume è antropologico-pedagogico, in quanto fa del formarsi lo statuto problematico e sempre in fieri del soggetto attuale, riletto nella sua identità plurale, interattiva e oscillante che, proprio per questo, reclama una direttività, un’auto-direttività sempre in esercizio.